note
di copertina
Produzione e realizzazione: Sergio
Bardotti
registrazione: Studio 38, Roma
fonico: Massimo Becagli
recordista: Antonio Marzullo
editing e mixage: Auditorio Fonit-Cetra, Torino
fonico: Filippo Odiard
arrangiamerti e direzione d'orchestra: Luis Enriquez
Bacalov
piano: Luis Enriquez Bacalov
organo: Giorgio Carnini e Giancarlo
Chiaramello
chitarre: Toquinho (per gentile concessione
della RGE di San Paolo) Maurizio De Angelis,
Filippo Rizzuto
basso: Giovanni Tommaso
batteria: Enzo Restuccia
coro dei bambini diretto da Nora Orlandi
traduzione delle poesie: Giuseppe Ungaretti
traduzione delle canzoni: Sergio Bardotti
Il Giorno Della Creazione: traduzione
di Sergio Bardotti
Vinicius De Moraes ha vissuto qualche mese a Roma nell'inverno del
'69. È il miglior poeta di lingua portoghese d'oggi, ambasciatore
del Brasile finché è rimasto in carriera, autore di
tutte le parole più belle delle canzoni brasiliane di “Tom”
Jobim o di Baden Powell; Vinicius che si dichiara “il più
negro dei bianchi d’America”, 56 anni, l’uomo
più vitale e vivo che io conosca, che ti insegna ad amare
la vita, senza pur illudersi, con saggezza paziente e incontenibili
slanci e scatti d’amore. A Roma ha cercato gli amici, e Ungaretti
prima di tutti, che incontrò in Brasile fin dal ’37:
“Ungà” che riconobbe in quel giovane poeta esordiente
un talento grande, al punto da tradurlo in italiano dì lì
a poco. Ma, anche, Chico Buarque de Hollanda, già in Italia,
amico e come un figlio; Bardotti che in Italia è quello che
più ne sa (e più ama), con precise scelte, della musica
brasiliana di ieri e di oggi; Endrigo “meraviglioso cantore”,
Raphael Alberti, poeta per tanti motivi a lui legato; noi, amici
di Ungaretti, e subito, profondamente a Vinicius legati di affetto
vero, affetto umano ancor prima che d’ammirazione grande.
Così abbiamo insieme conosciuto Vinicius che canta, Vinicius
che beve “vinti, trinta, quaranti” whiskies al giorno
- come dice nel suo divertente italiano -, Vinicius che va a letto
alle sette di mattina, che parla profetico e con ironia, che canta
la bellezza della donna, e la sua struggente malinconia. È
stata di Bardotti l’idea di incidere tante cose in quel momento
romano per preparare un disco che fosse come un omaggio a Vinicius
ed a immagine, un “acquarello”, del Brasile.
Ungaretti aveva da poco tradotto nuovi e vecchi versi di de Moraes,
e volentieri è entrato in un piccolo
studio di registrazione, con cantanti, con suonatori, con tecnici:
Bardotti aveva organizzato tutto alla perfezione, perfetta la chitarra
(Toquinho), ottima la ritmica, Vinicius pronto a parlare, a cantare,
a recitar versi - ed Endrigo a prestare (merito particolare del
disco) la sua voce e il suo amore alla vera musica popolare, cantando
canzoni con parole di Vinicius. Una scelta vasta, dalle canzoncine
per i bambini che Vinicius scrive da sempre (gioielli inarrivabili),
ai grandi temi di Baden e di “Tom”, al famoso Samba
Delle Benedizioni (che faceva parte della colonna sonora
del film “Un uomo e una donna”), e cori di bambini disponibili,
e tanti filoni di “saudade” e di felicità, di
allegria e di tristezza toccati insieme. Tanto materiale che bisognava
poi montar bene, e Bardotti (si sa) anche in questo è maestro.
Il montaggio del disco è tra i più sapienti e dosati:
ci sono due idee guida, le “benedizioni” di Vinicius
che aprono e chiudono il disco dando definizioni bellissime della
“sua” musica (“Fare un samba non è
una barzelletta - chi fa samba così non è poeta -
il samba è preghiera se lo vuoi. - Samba è la tristezza
fatta danza - la tristezza che ha sempre la speranza - di non essere
triste, prima o poi”.), e la voce di Ungaretti che legge
frammenti o versi proposti a “collages”.
In mezzo a tanta musica, e spunti diversi, e Deixa che traspare,
e La Marcia Dei Fiori che rielabora un tema di Bach, ed Endrigo
che canta Perché, Il Poema Degli
Occhi, Se Tutti Fossero Uguali A Te, e
Vinicius che legge la terribile poesia sul Giorno della
Creazione: il Sabato, terribile e toccante, con sempre,
nella sua amara ironia (quando scatta) un più forte quoziente
– com’è in Vinicius – di pietà,
ed un forte senso di religiosità, seppur dovesse bestemmiare.
Senso di mistero, di magici oscuri motivi che regolano la vita,
che bene Vinicius ha conosciuto approfondendo, insieme a Baden,
il “candomblè” di Bahia, i riti di magia nera,
che dall’Africa si sono in quelle rive trasferiti, per rimanervi
senza subire sofisticazioni, arricchiti, sempre, di sensi nuovi,
autonomi, a sé, com’è della tradizione della
musica popolare del Brasile. E tante altre cose ancora...
Un disco, a mio modo di vedere (sarà il pubblico della stessa
idea?) esemplare: un disco nuovo con tante diverse aperture, e tutte
coinvolgenti.
[Leone Piccioni]
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